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Derivati e deviati: l’assalto allo Stato

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Come avrete letto su L’Espresso e in rete lo scandalo derivati sta travolgendo il Tesoro: l’anno scorso gli investimenti in scommesse fasulle e perse sono costati 3,6 miliardi mentre quest’anno la perdita arriverà a 5 (senza contare i 3,1 miliardi al tempo di Monti e altre operazioni di cui si sa poco o nulla per un totale di 16 miliardi già saldati a cui si aggiungeranno nel tempo altri 42 miliardi come calcola Il Sole 24 Ore). Investimenti sbagliati si dirà, fatti nell’illusione che la finanza casinò avrebbe diminuito il debito ne avrebbe allungato i i termini, atti di fede in un mercato che non aveva ancora conosciuto la crisi e che anzi si pensava immune da qualsiasi ripiegamento.

In definitiva questa perdita che annulla i vantaggi derivanti dalla diminuzione dello spread può essere messa sul conto della tetragona ideologia liberista che nei primi anni del nuovo millennio era la fede ufficiale sia del berlusconisno puro che della sua variante mascherata da socialdemocrazia. Tuttavia queste perdite giunte alla cronaca solo grazie ad un’interrogazione dei 5 stelle nascondono un lato più inquietante e in qualche modo illuminante che va oltre le fedi ottuse, le illusioni e la credulità: da quanto si evince già al momento del ricorso a questi strumenti finanziari da parte dello Stato, attraverso sistema bancario, la possibilità che essi avrebbero portato un ristoro o un guadagno era scarsissima, meno del 10%, prevedendo un rialzo dei tassi del 6 o 7 per cento, del tutto improbabile almeno a quei tempi.

Circostanza a cui si aggiungono inspiegabili anomalie di contratto (per i particolari vedi qui).

Perciò tutto questo, proprio nel momento in cui si tacciano i risparmiatori di Banca Etruria e sorelle di essere degli speculatori e/o dei creduloni, non può essere sbrigativamente archiviato come una mossa falsa o un errore: o ci troviamo di fronte a una totale incompetenza dei funzionari del tesoro e dei loro referenti politici negli anni a cui si riferisce l’uso dei derivati o a una colpevole e irresponsabile imprudenza dovuta a cecità ideologica oppure a una combine nella quale si sono puntati i soldi di tutti in “scommesse” già perse in partenza e che vedevano come vincitrici le solite banche, facendole assurgere a creditori privilegiati. La logica e il più elementare buon senso suggeriscono che di fronte a queste colossali perdite dovrebbe cadere, sia pure pro forma, qualche testa e qualche reputazione. Ma, come è nel velenoso spirito del tempo, dalle notizie sulla disgraziata vicenda viene totalmente espunto un qualsiasi riferimento alla responsabilità sia essa penale o meno, politica, amministrativa, conoscitiva: sembra che abbiamo perso miliardi solo per un capriccio del destino o perché era giusto così. Nessuna inchiesta è stata aperta, nessun commissione annunciata: la colpa, la negligenza, l’imperizia appartengono solo ai cittadini, ma non sfiorano i vertici dell’oligarchia.

In realtà che decine di miliardi se ne sarebbero andati in fumo non è una novità, se ne parlava già da mesi, anzi da anni, da quando nel gennaio del 2012 lo stato ha dovuto staccare un assegno da oltre 3 miliardi in favore di Morgan Stanley. Ma su quella operazione la Corte dei conti non si è ancora espressa, la Procura di Roma non ha riscontrato violazioni della legge e non ha approfondito, la Commissione Finanze della Camera ha avviato un’indagine conoscitiva, ma – udite udite – non avendo avuto copia dei contratti non è stata in grado di esprimere giudizi. E dire che quei pochi miliardi non sono che spiccioli rispetto a quanto presumibilmente uscirà dalle casse dello stato, tutti praticamente rubati alla scuola, alla sanità, alle pensioni, al welfare. E oggi non si fa più nemmeno la mossa, l’ammuina di andare a fondo a queste operazioni, a questo casino che non sembra nemmeno Sanremo o Montecarlo, ma una casa da gioco clandestina dove il giocatore non vince mai, anche perché se per caso le “assicurazioni” in derivati stipulate per difendersi da eventuali aumenti degli interessi sul debito pubblico funzionassero, fallirebbero gli assicuratori ossia banche e centri finanziari.

Stranamente però sono molte le inchieste e i processi per l’acquisto di derivati da parte dei Comuni, compresi Milano o Roma, come se si trattasse di operazioni diverse rispetto a quelle dello Stato centrale quando invece sono perfettamente simili e in qualche caso hanno portato a perdite inferiori – in percentuale alla loro entità – rispetto a quelle provocate dal Tesoro. Ma nel caso degli enti locali c’entrano singoli pescecani e e poteri inferiori sui quali si può infierire per conservare la faccia. E giocando sui quali si può facilmente far credere che si tratti di errori o di anomalie, senza per questo dover mettere a nudo, smascherare l’assurdità del sistema. Lo Stato invece, di fatto sempre più dipendente da una governance diffusa dei poteri finanziari globali, sempre meno sovrano, deve far vedere che tutto è normale, che è stata solo una momentanea sfortuna. Che tutto va bene e che in ogni caso bisogna farsene una ragione.

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